“Nausea” è l’EP d’esordio dei Raiva, un progetto che nasce dall’urgenza di dare voce al disagio e alla sensazione di oppressione generata da una società sempre più conformista. La nausea diventa così il punto di rottura, il segnale che precede una reazione inevitabile: uno svuotamento emotivo che trova nell’arte la sua forma più autentica. Tra industrial, rap, punk e suggestioni metal, “NAUSEA” è una traduzione sonora di frustrazioni, aspettative deluse e nevrosi irrisolte di chi si è sempre sentito fuori posto.
“NAUSEA” ha un’identità sonora molto precisa: come avete costruito questo mix di industrial, rap, punk e influenze metal?
Per quanto siamo soddisfatti del modo in cui abbiamo dato forma sonora al progetto, si devono ancora fare notevoli passi avanti che derivano sia da maggiori consapevolezze a livello musicale, che da una crescita emotiva. Insomma, c’è da parte nostra l’ambizione di creare qualcosa di progressivamente sempre più identificativo e unico. Più sarà dissonante, più saremo soddisfatti.
Comunque, il mix di influenze è stato qualcosa di piuttosto spontaneo e non ragionato: da anni lavoravamo a pezzi rap (d’altronde Me Musa, la prima traccia in ordine cronologico che poi è finita in NAUSEA, è anche quella più rap del progetto), ma Giorgio ha sempre ascoltato cose molto più aggressive, quindi ad un certo punto ci è semplicemente parso appropriato esprimere i nostri stati d’animo tramite un linguaggio sonoro più abrasivo e distorto. Nel mezzo di tutto ciò, un giorno Alessandro ha scritto un discorso e Giorgio ha avuto questa idea di metterci sotto una linea di basso semplicissima ed una batteria digitale ripetitiva. Così è nata Problemi, la traccia più punk del progetto.
Quali sono stati i riferimenti sonori, italiani o internazionali, che vi hanno influenzati durante la produzione?
Di italiano c’è pochissimo, forse solo CCCP e Cor Veleno. In generale a livello sonoro abbiamo ripreso molto dal mondo alternative di fine anni novanta ed inizio duemila: senza band come Deftones, Nonpoint e Nine Inch Nails non esisterebbero tracce come Abaco e Me Musa. Poi c’è il post punk dalle sfumature industrial dei Joy Division e dei Killing Joke e infine la musica classica, cose come Dvorak, Rachmaninov e Stravinsky.
Sicuramente di attuale ci è capitato di ispirarci ad artisti come gli Idles, Slowthai e gli Sleep Token. Insomma, abbiamo preso da più ambienti, ma il tema comune rimane pur sempre la ricerca di un suono gigante, al contempo ruvido e teatrale.
La scelta di mantenere un suono ruvido e poco levigato è stata estetica o emotiva?
Per il modo spontaneo in cui concepiamo la musica alla scelta emotiva è legata una diretta conseguenza estetica, quindi in fase di riflessione non le abbiamo mai pensate come due sfere separate. Questo potrebbe voler dire che la scelta per noi è sempre in primis emotiva. Più che altro la difficoltà risiede nel modo di esprimere esteticamente il carattere del progetto, dato che per il video di Chiuse le mani abbiamo scelto un immaginario totalmente diverso rispetto a quello della copertina, delle nostre foto promozionali e del video di Problemi che uscirà tra qualche settimana. Essendo il nostro primo progetto abbiamo deciso di divertirci e sperimentare senza rimuginare troppo sulla direzione da prendere, anche quando le idee erano in contrasto l’una con l’altra. E poi il dualismo è una caratteristica ben nota dell’essere umano e forse in particolare degli artisti: la nostra musica potrà anche essere cupa e pessimista ma noi rimaniamo fondamentalmente dei cazzoni.
Ciò che invece troviamo molto coerente con il carattere del progetto è stata la scelta azzeccata che abbiamo fatto di affidare il processo di post produzione a Squarta dei Cor Veleno. Tralasciando il fatto che è un nostro idolo fin dall’adolescenza, cercavamo una persona che leggesse nei nostri pezzi la voglia di non uniformarci e anzi rendesse il nostro suono ancora più ruvido. A dirla tutta ci siamo fidati pienamente di lui e non gli abbiamo dato indicazioni sul modo in cui volevamo che il progetto suonasse, che per alcuni versi è stata una scelta azzardata. Ma sapevamo che avrebbe funzionato e così è stato: siamo molto contenti in primis di essere stati compresi, e poi ovviamente di come suona NAUSEA.
Come avete gestito la presenza di elementi così diversi all’interno dello stesso EP?
Direi che il segreto è proprio non gestirla: siamo andati nelle direzioni in cui volevamo andare. Fin quando ci piace ciò che stiamo creando in studio sul momento, non c’è motivo di tornare indietro o gestire razionalmente il processo creativo. Ci sono tracce in NAUSEA che risaltano perché diverse dal resto: Problemi in particolare, che ad esempio è la preferita di Giorgio. Avrebbe avuto senso toglierla dalla tracklist? Assolutamente no. Anzi, perché rendere il progetto più noioso e prevedibile?
Se doveste descrivere il “suono Raiva” con una sola immagine, quale sarebbe?
In piena estate, sdraiatevi di schiena sull’asfalto rovente delle strade: quello è il suono RAIVA.
