“Niente” è il nuovo singolo di Valentina Indelicato: intervista

 

Con il nuovo singolo “Niente”, Valentina Indelicato sceglie di raccontare ciò che spesso resta in sospensione: emozioni senza nome, silenzi che pesano, fragilità che chiedono spazio. Una canzone raccolta e consapevole, costruita sull’equilibrio tra sottrazione e verità.

In questa intervista per Revista Web, l’artista riflette sul processo di trasformare l’indefinito in parola, sulla paura di scoprirsi e sul potere della scrittura come atto di chiarificazione emotiva. Un confronto essenziale, dove il “niente” diventa racconto.

Nel brano il “niente” diventa un peso fisico: quale sensazione corporea ti ha accompagnato durante la scrittura?
“Niente” era un respiro trattenuto, una presenza silenziosa che occupava un po’ di spazio, ma senza mai farsi notare troppo. Stava lì, a ricordarmi che anche ciò che sembra apparentemente vuoto può avere un peso, un significato.
 
Quanto è difficile trasformare una sensazione indefinita in parole precise?
Non è mai semplice, è la parte forse più complessa ma, per questo, la più interessante. Le sensazioni indefinite sfuggono, ma quando si trovano le parole giuste per poterle raccontare è come se prendessero fisicità: diventano materia da osservare, da toccare, da condividere. In questo ‘viaggio’, e grazie a questo, prendono concretezza: è come dare gradualmente un contorno a qualcosa che prima era solo nebbia.
 
Qual è la paura più grande che hai dovuto attraversare per lasciare emergere questo “niente”?
“Niente” è stato il primo brano in cui mi sono sentita davvero scoperta, con me stessa prima che con gli altri. All’inizio c’era un po’ di timore, una timidezza nel trasformare in parole e suoni quello che sentivo e che andava affrontato.
Ma la voglia di condivisione ha sciolto in me ogni esitazione, e tutto ha preso spontaneamente una forma naturale e vera, autentica.
 
Ti capita mai che scrivere una canzone diventi una forma di terapia?
Sì, sempre, anche se in un primo momento non me ne rendo mai conto.
Me ne accorgo dopo, quando riascolto: allora capisco che ho lasciato andare qualcosa. La musica non risolve, ma chiarisce. E a volte questo è già tantissimo.
 
Quando capisci che un’emozione è pronta per essere raccontata?
Credo che un’emozione non sia mai pronta per essere raccontata, se non nel momento in cui decidiamo di essere realmente pronti per farlo. E questo, secondo me, arriva attraverso un momento di consapevolezza in cui si comprende che trattenere significa anche perdere. È un equilibrio delicato tra osservarla da lontano e sentirla ancora dentro con pienezza.
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