Vive attualmente a Milano, sua città di
elezione, che ha raramente lasciato se non per qualche viaggio di
documentazione per i suoi romanzi e per poche vacanze all'estero: in Europa,
Africa ed America del Sud.
Abbiamo
intervistato lo scrittore per saperne di più sul nuovo romanzo “Omicidi
d’Autore”.
Qual
è stato il momento in cui ti sei accorto di aver sviluppato la passione per la
scrittura?
Ho iniziato a scrivere da giovane, riallacciandomi forse inconsapevolmente ai racconti che nonna Maria faceva a noi nipoti quando eravamo piccoli, raccolti attorno al fuoco del camino. Ricordi di quand’era bambina, là in campagna, dove la vita era dura e semplice e i racconti erano sempre storie comuni di gente semplice. Con gli anni ho sviluppato dentro di me questi momenti e ho cominciato a raccontare di mio.
Quale
scrittore o libro ha influenzato il suo lavoro di autore?
Ho letto molto e di tutto, negli anni. Da Furore e Uomini e Topi di Steinbeck, a Il Vecchio e il Mare, Addio alle Armi, Per chi suona la campana e altri di Hemingway. Dalla famosa biografia su Verdi di Gatti, a I promessi Sposi di Manzoni per citare solo alcuni dei più grandi per passare poi a letture di biografie di Francesco I, Maria Stuarda, Elisabetta I, Napoleone, Michelangelo, e altri di autori vari, fino a leggere per diletto alcuni tra i migliori scrittori di thriller, sopra tutti la grande Agata Cristhie.
Quale
tecnica usa per scrivere? Prepara uno schema iniziale, prende appunti, oppure
scrive d’istinto?
Non uso tecniche. Quando mi viene in mente un’idea me la faccio giare nella testa e la esamino da ogni angolatura. Poi, se la ritengo valida, inizio a dare forma al racconto.
È
mai capitato anche a lei di avere il blocco dello scrittore?
Fortunatamente no. Quando ho deciso di riprendere la scrittura di quello che sto raccontando mi metto al computer e qui capita una cosa curiosa. Io so cosa ‘devo’ scrivere, ma non so mai ‘cosa’ scrivo perché mentre racconto affino pagina dopo pagina la struttura dei personaggi, situazioni e sentimenti che caratterizzano la storia e i personaggi stessi, È un’alchimia strana che però mi aiuta a creare la storia che ho in mente.
Com’è
nato “Omicidi d’Autore”? Era un romanzo a cui pensava da molto o è nato per
caso?
No. È nato da considerazioni tratte da vari fatti di cronaca, dove si racconta di quanto male facciano certi comportamenti violenti esercitati, anche psicologicamente, sui minori che possono poi trasformarsi in azioni altrettanto violente una volta raggiunta l’età adulta
Nuovi
progetti per il futuro?
Al momento sto valutando varie possibilità per poter raccontare nuovamente qualcosa di interessante.
Ho iniziato a scrivere da giovane, riallacciandomi forse inconsapevolmente ai racconti che nonna Maria faceva a noi nipoti quando eravamo piccoli, raccolti attorno al fuoco del camino. Ricordi di quand’era bambina, là in campagna, dove la vita era dura e semplice e i racconti erano sempre storie comuni di gente semplice. Con gli anni ho sviluppato dentro di me questi momenti e ho cominciato a raccontare di mio.
Ho letto molto e di tutto, negli anni. Da Furore e Uomini e Topi di Steinbeck, a Il Vecchio e il Mare, Addio alle Armi, Per chi suona la campana e altri di Hemingway. Dalla famosa biografia su Verdi di Gatti, a I promessi Sposi di Manzoni per citare solo alcuni dei più grandi per passare poi a letture di biografie di Francesco I, Maria Stuarda, Elisabetta I, Napoleone, Michelangelo, e altri di autori vari, fino a leggere per diletto alcuni tra i migliori scrittori di thriller, sopra tutti la grande Agata Cristhie.
Non uso tecniche. Quando mi viene in mente un’idea me la faccio giare nella testa e la esamino da ogni angolatura. Poi, se la ritengo valida, inizio a dare forma al racconto.
Fortunatamente no. Quando ho deciso di riprendere la scrittura di quello che sto raccontando mi metto al computer e qui capita una cosa curiosa. Io so cosa ‘devo’ scrivere, ma non so mai ‘cosa’ scrivo perché mentre racconto affino pagina dopo pagina la struttura dei personaggi, situazioni e sentimenti che caratterizzano la storia e i personaggi stessi, È un’alchimia strana che però mi aiuta a creare la storia che ho in mente.
No. È nato da considerazioni tratte da vari fatti di cronaca, dove si racconta di quanto male facciano certi comportamenti violenti esercitati, anche psicologicamente, sui minori che possono poi trasformarsi in azioni altrettanto violente una volta raggiunta l’età adulta
Al momento sto valutando varie possibilità per poter raccontare nuovamente qualcosa di interessante.