Elephantides: tempo piegato, ondulato…

Il duo degli Elephantides approda dunque al disco ampiamente anticipato dal singolo “See”. Daniele Sciolla e Sergio Tentella (che tra l’altro abbiamo ospitato di recente per il suo disco solista), mescolando suoni reali ai batter digitali, cercando di destrutturarne il tempo e la metrica. Risultato di queste matrici sonore è un disco molto interessante, lisergico e visionario, sospeso e privo di forma quotidiana. “Floating Tempo” uscito per Betulla Records contiene 7 inediti e poi due remix a firma di Bienoise e Indian Wells: lavoro privo di riferimenti concreti, lavoro di pensieri e di fantasie che cercano un dialogo che porti alla rottura delle abitudini… lavoro che forse avrebbe potuto osare di più.

Periodo fertile per la vostra produzione, sia di due che individuale. Eppure esiste un lungo filo comune per tutto o sbaglio? Cambiano i nomi ma la pasta compositiva resta quella… almeno questo mi arriva...
Se da un lato Elphantides beneficia di quello che impariamo singolarmente, dall'altro singolarmente impariamo da Elephantides.
Quindi sicuramente ci sono degli aspetti in comune tra i progetti solisti e il duo.
Ma viviamo in due città molto distanti e diverse, uno si occupa di synth e l'altro di batteria e i tre progetti (Elephantides, Daniele Sciolla, Sergio Tentella) hanno sonorità, stili, obiettivi completamente diversi.
Per farti un esempio: ELEPHANTIDES lavora sui cambi metrici e sulle poliritmie, in POCKET SHAPES (Sergio Tentella) non ci sono cambi metrici, in SYNTH CARNIVAL e MINIATURE PER SINTETIZZATORE (di Daniele Sciolla) non è presente alcun tipo di batteria.

“See” come tutto il disco “Floating tempo", cerca la “destrutturazione” del tempo e della scrittura. Perché questa direzione?
In realtà non cerchiamo la destrutturazione in sè, ma si tratta più di un mezzo, che ci permette di costruire i brani con poliritmie e sovrapposizioni metriche. 
Diciamo che la direzione è una nuova percezione ritmica, mentre nella destrutturazione ci dobbiamo passare per arrivare alla meta. 

E poi parliamo di questi due remix a cura di Indian Wells e Bienoise… come nascono?
Spontaneamente. Abbiamo suonato assieme a molti artisti da quando abbiamo iniziato il progetto. 
Loro due sono state tra le persone che sia stilisticamente che umanamente ci sono piaciute di più. 
Così gli abbiamo proposto una collaborazione e loro hanno scelto la traccia del disco che preferivano per rimetterci mano. 
Ne son usciti due bellissimi remix!

E poi mi viene da chiedere: perché pensare ad un remix di qualcosa che di suo è così “destrutturato”? In fondo siamo abituati a pensare ai remix di scritture pop, di melodie precise ed estremamente orecchiabili… un remix, per come la penso io, è un’allegoria della verità…
In realtà noi siamo abituati a concetti di remix più labili. 
Nathan Fake ha remixato "Cluods in the Haed" di Vincent Oliver e anche quella è una traccia che per alcuni aspetti può essere definita "destrutturata", poi il remix gli ha dato una struttura più lineare. 
Il nostro concetto di remix è un po' come il dialogare: come quando durante una conversazione, dopo aver detto la tua, chiedi a un tuo amico "e tu che ne pensi?", ma lo fai musicalmente. 

Video geniale a tratti. Realizzato a casa, separati, con i telefonini… ce lo raccontate? Come nasce? 
Il primo video l'abbiamo fatto suonando e filmandoci. Essenzialmente abbiamo continuato a fare la stessa cosa fino a “SEE”. 
Nel primo suonavamo nella stessa stanza, ma di volta in volta le riprese erano sempre più distanti, sia spazialmente che temporalmente. 
Così durante i montaggi, mentre sincronizzavamo e univamo le registrazioni abbiamo colto l'occasione per creare forme nuove: braccia e gambe di due persone rimontate in un unica figura, polistrumentista letteralmente, che suona decine di strumenti contemporaneamente. 
Anche qui come dicevi c'è il concetto di destrutturazione, che ci permette di dare nuovi punti di vista. 

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