In questa intervista per Revista Web, Gemini racconta la genesi del disco, il lavoro con il suo team creativo e il processo di scrittura che ha dato vita a Universi.
Com’è nata la collaborazione con la tua squadra di lavoro e in che modo ha influenzato la direzione sonora di “Universi”?
La squadra è nata in modo molto naturale, come se ci fossimo trovati al momento giusto.
Con Gerolamo Sacco, che ha prodotto il disco, c’è stata da subito un’intesa fortissima: prima ancora di entrare in studio abbiamo parlato tantissimo dell’immaginario, di cosa volessi raccontare davvero.
Con l’autore Giordano Spagnol, invece, si è creato un dialogo molto profondo: lui ha la capacità di tirare fuori le parole che non riesco a dire ad alta voce.
La direzione sonora di “Universi” è il risultato di questo triangolo creativo: io, Gerolamo e Giordano.
Abbiamo costruito un mondo che non segue un genere ma un’emozione, lasciando che fossero le canzoni a guidare il suono.
Il disco alterna momenti acustici a paesaggi più elettronici: come hai trovato l’equilibrio tra questi due mondi?
Per me l’acustico è la pelle, l’elettronico è l’universo intorno. Avevo bisogno di entrambi.
La chitarra e il piano mi permettono di restare vicino al respiro, alla parola, alla confessione.
I synth, i beat, i tappeti elettronici invece raccontano meglio il caos mentale, l’ansia, le notti in cui i pensieri fanno rumore.
L’equilibrio è arrivato chiedendomi sempre: “Cosa serve davvero a questa frase per farsi capire?” A volte solo una chitarra, altre un cielo di suoni.
Qual è stato il brano più complesso da arrangiare e perché?
Il brano che ci ha messo più alla prova è stato “Vita difficile”.
Era talmente intimo che non potevamo forzarlo: abbiamo dovuto aspettare due, quasi tre versioni diverse prima di capire qual era quella giusta.
Con Gerolamo Sacco ci siamo chiesti più volte quanto lasciare nudo e quanto invece accompagnare la voce, perché rischiavamo di romperne la fragilità.
È stata una ricerca lunga, ma necessaria. Solo quando il pezzo ha smesso di sembrare “costruito” e ha iniziato a suonare come un confessionale vero, abbiamo capito che era arrivato a casa.
Mi capita spesso di partire da un’immagine: una scena, un gesto, una luce. Altre volte invece è una frase che non mi molla per giorni.
Di solito annoto tutto sul telefono, anche le cose più storte, poi quando mi siedo a scrivere cerco di capire cosa mi “brucia” davvero in quel momento.
A volte nascono prima le parole, altre volte una melodia canticchiata in macchina o sotto la doccia.
Il mio processo tipo è: accendo un registratore, prendo uno strumento e lascio uscire quello che c’è, senza giudicarlo subito. La vera selezione avviene dopo.
In “Fuori controllo” si percepisce un forte lavoro sul ritmo: che ruolo ha la notte nella tua scrittura?
La notte è il momento in cui le difese si abbassano e le verità fanno più rumore.
Scrivo tantissimo di notte perché è come se il mondo fuori rallentasse e io potessi ascoltare meglio cosa succede dentro.
In “Fuori controllo” la notte è proprio lo scenario emotivo: quel momento in cui ti sdrai a letto e tutto quello che hai tenuto a bada durante il giorno ti crolla addosso.
La notte, per me, è sia il problema che la cura: ti mette davanti ai tuoi fantasmi, ma ti dà anche lo spazio per trasformarli in canzoni.
