Mauro Cesaretti con “Sento una musica” firma un inno estivo alla spensieratezza e alla libertà


Con “Sento una musica”, Mauro Cesaretti firma un inno estivo alla spensieratezza e alla libertà, trasformando ogni serata in spiaggia in un momento di condivisione e leggerezza. Dopo anni trascorsi tra versi e pentagrammi, l’artista marchigiano torna a raccontarsi in una dimensione più solare, ma sempre attenta alla profondità emotiva e al valore delle parole.

Poeta prima ancora che cantautore, Cesaretti unisce nelle sue canzoni l’anima riflessiva della scrittura e l’energia immediata del pop, mantenendo intatta quella tensione poetica che da sempre caratterizza il suo percorso. Le esperienze con Mogol e Berklee College of Music hanno arricchito la sua visione artistica, portandolo a considerare la canzone come un equilibrio tra melodia, empatia e verità interiore.

In questa intervista, Mauro Cesaretti ripercorre il suo viaggio umano e creativo: dal passaggio dalla poesia alla musica, ai momenti formativi della carriera, fino al desiderio di trovare il proprio “centro di gravità permanente” e continuare a creare con autenticità, lontano dai compromessi del mondo dello spettacolo.

Dal 2013 ad oggi sei passato dalla poesia alla musica: cosa ha segnato davvero il tuo “salto” da poeta a cantautore?
Mi sento ancora molto poeta e poco cantautore. Anche molto grandi artisti del passato si sentivano più autori e poco cantanti. Credo in ogni caso che siano due espressioni del mio essere una più intima e filosofica e l’altra più popolare ed estroversa. 

Quali insegnamenti ti hanno lasciato le esperienze con Mogol e Berklee?
Da Mogol ho imparato che la melodia è la parte strutturale di una canzone e che quindi bisogna ascoltarla in primis con attenzione, alla Berklee ho capito che esiste una prosodia dietro ogni canzone e bisogna approfondire sia i suoni che le emozioni per scrivere con consapevolezza. Due mondi complementari che però sperimentano con approcci abbastanza diversi. Uno studia più gli aspetti compositivi e tecnici, molto vicini al conservatorio. L’altro è più basato sull’empatia e quasi un approccio psicologico per tirare fuori le parole e la verità per noi in quanto interpreti e poi c’è tanto studio del palcoscenico e della professionalizzazione del cantante.

Guardando indietro, quali sono stati i momenti più formativi della tua carriera?
Ogni collaborazione mi ha insegnato qualcosa, ma i momenti in cui ho fallito sono quelli che mi hanno fatto crescere di più. Sono i silenzi dopo un concerto che non è andato come speravi a insegnarti la verità su chi sei.

In che modo le esperienze nei festival hanno influenzato il tuo approccio alla scrittura?
Mi hanno dato il senso della misura. Nei festival impari che una canzone deve arrivare in pochi secondi, ma può anche lasciare un segno profondo se riesci a essere autentico; che devi scrivere in un certo per dare spazio alla gestualità del live e che l’apparenza è importante tanto quanto il contenuto in questo mestiere.

Dove vedi Mauro Cesaretti tra cinque anni?
Mi vedo con due album e spero anche tre, un libro che chiuderò dopo 20 anni della mia vita e della mia ricerca poetica, un’azienda con tanti cantanti e tanti eventi realizzati. Spero di trovare il mio “centro di gravità permanente” e che le persone continuino ad apprezzare quello che faccio. Al momento vorrei cantare di più ma non so dirvi se si realizzerà nell’immediato o meno! È che rifuggo le occasioni gratuite in nome della fama, cosa che i miei colleghi non fanno e questo poi grava sull’intero settore, sottopagato e pagato in nero.

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